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Medicina rigenerativa e terapie innovative per la Veterinaria descritte a Parma

Sulla medicina rigenerativa e sulle terapie innovative, un vasto e affascinante argomento di grande interesse, si è concentrata Aivpa (Associazione italiana veterinari per piccoli animali) per il suo 57° congresso annuale, tenutosi a Parma ad ottobre 2018.

 

Da diversi anni a questa parte, anche tra i medici veterinari la medicina rigenerativa gode di un crescente consenso, grazie ai recenti traguardi raggiunti che ne rendono il ricorso sempre più pratico ed efficace, nonché alla semplificazione di diverse procedure che hanno trasformato molte di queste innovative metodiche in uno strumento alla portata di tutti.

Sulla medicina rigenerativa e sulle terapie innovative, un vasto e affascinante argomento di grande interesse, si è concentrata Aivpa (Associazione italiana veterinari per piccoli animali) per il suo 57° congresso annuale, tenutosi a Parma lo scorso ottobre.

I lavori sono stati introdotti dalla prof.ssa Valeria Grieco (presidente Aivpa), che ha ricordato come l’Associazione sia vicina ai veterinari in virtù della sua mission centrata sull’aggiornamento dei colleghi; Gianni Mancuso (presidente Enpav), che ha fornito aggiornamenti sulle attività dell’Ente previdenziale che, quest’anno, celebra i suoi 60 anni, e dal prof. Maurizio Del Bue. “Quello che abbiamo voluto fare è stato non soltanto gettare le basi per conoscere la medicina rigenerativa e le terapie innovative, ma attraverso i nostri relatori abbiamo portato esempi pratici per far comprendere che queste si possono davvero utilizzare concretamente, che non si tratta di qualcosa di astratto ma di traguardi che si possono raggiungere sia nella piccola che nella grande struttura, ma soprattutto che sono applicabili anche alla pratica di tutti i giorni, nel cane, nel gatto e negli animali non convenzionali”, queste le parole di apertura della prof.ssa Grieco.

Nei giorni successivi al congresso si è svolto anche un corso pratico ad hoc per la preparazione del plasma ricco di piastrine (PRP), organizzato dall’Associazione “RegenerAps”, finalizzato a rendere veramente pratiche alcune tecniche affrontate durante il simposio. Di seguito la sintesi di alcuni interventi.


Le terapie rigenerative in Medicina veterinaria

La relazione introduttiva è stata tenuta dal prof. Maurizio Del Bue, il quale ha fornito le basi teoriche per la comprensione delle successive esposizioni. Il relatore ha ricordato che, in presenza di un danno tissutale, l’organismo attiva tutta una serie di processi biologici volti alla riparazione della lesione, che esita nella formazione di una cicatrice e solo raramente si ha la restitutio ad integrum; pertanto, il tessuto danneggiato tende a ripristinare la sua struttura anatomica senza recuperare, il più delle volte, la totale funzionalità.

Qui entrano in gioco le terapie rigenerative, che possono essere distinte in farmacologiche, finalizzate a limitare l’infiammazione e a stimolare i processi riparativi, fisiche (ad es. magnetoterapia, laserterapia, onde d’urto, tecarterapia, ecc.) e biologiche, che sfruttano ed esaltano le potenzialità intrinseche dell’organismo. Proprio le terapie biologiche sono quelle cui ci si riferisce, in genere, quando si parla di terapia rigenerativa, tra le quali quelle attualmente più interessanti e utilizzate sono le cellule staminali mesenchimali e i concentrati piastrinici. La storia delle terapie cellulari inizia verso il 1970 quando il dr. Alexander Friedenstein per primo descrisse quelle che oggi conosciamo come MSC (mesenchymal stem cells), ovvero cellule di forma fibroblastoide isolate a partire dal midollo osseo, con capacità di differenziarsi in tessuto osseo e cartilagineo. Vent’anni dopo, grazie allo sviluppo delle biotecnologie che hanno permesso di sfruttare le diverse potenzialità dei tessuti di ripararsi e guarire, sono iniziati i primi avanguardistici studi in Medicina umana e veterinaria.

Queste terapie, per quanto in uso ormai da diversi anni, sono ancora considerate innovative e in continua evoluzione, grazie ai progressi tecnici e scientifici, e la ricerca in questo settore coinvolge numerosi gruppi di studio a livello internazionale. Ma cos’è una cellula staminale? Il prof. Del Bue ha chiarito questo primo concetto fondamentale spiegando che si tratta di cellule immature, ovvero cellule indifferenziate che conservano la capacità di replicarsi e differenziarsi e dalle quali derivano tutte le cellule più specifiche.

Queste cellule possiedono una potenzialità diversa in funzione della loro capacità differenziativa, influenzata dal tipo di segnale biologico da cui vengono raggiunte. Le cellule staminali possono essere classificate in totipotenti (in grado di dare originare a qualunque tipo di tessuto), pluripotenti (con capacità di differenziazione inferiore rispetto alle totipotenti ma in grado di produrre moltissimi tipi di cellule e tessuti), multipotenti (anch’esse capaci di produrre cellule di diversi tessuti) e unipotenti (da cui deriva un solo tipo di cellula). In pratica, le cellule embrionali sono totipotenti, quelle fetali, cordonali e placentari sono cellule pluripotenti o multipotenti, mentre le cellule adulte sono multipotenti. Le cellule staminali mesenchimali adulte, definite con l’acronimo MSC, che sono quelle attualmente impiegate per la terapia in Medicina veterinaria, sono sicuramente meno specializzate rispetto a quelle embrionali, ma sono molto più versatili per gli usi terapeutici e quindi su queste sta studiando il mondo scientifico, sia in campo umano che veterinario.

Le MSC sono presenti all’interno dei tessuti e si trovano in particolari sedi, le cosiddette “nicchie”, dove permangono in uno stato “silente” per poi attivarsi in occasione di un danno tissutale, migrando verso la sede danneggiata dove, sotto l’influenza di specifici segnali biochimici, iniziano a replicarsi e a differenziarsi verso una specifica linea cellulare. Le cellule mesenchimali che generalmente vengono utilizzate nella terapia veterinaria si ottengono dal tessuto adiposo o dal midollo osseo e vengono messe in coltura per aumentarne il numero prima dell’utilizzo. Inoltre, queste cellule messe in coltura liberano numerosi altri elementi biologici e si è visto che queste sostanze prodotte dalle cellule staminali mesenchimali producono gli stessi effetti terapeutici anche quando vengono private delle stesse cellule staminali che le hanno liberate. Questo insieme di elementi di derivazione staminale viene definito “secretoma”.

Da un punto di vista pratico, le cellule che vengono somministrate allo stesso paziente dal quale è stato prelevato il tessuto utilizzato per produrle sono definite “autologhe”; quando invece vengono somministrate ad un altro paziente, sono cellule “omologhe”. In altre parole l’animale che riceve la terapia può essere lo stesso animale che ha donato il tessuto, oppure può essere un animale diverso. Esistono norme abbastanza rigide che regolamentano queste procedure. Per quanto concerne la terapia, questa può essere attuata, oltre che con le cellule, anche impiegando il prodotto biologico che si ottiene dalla dissociazione - enzimatica o meccanica - del tessuto adiposo prelevato dallo stesso paziente. In terapia viene utilizzato il tessuto dissociato per via meccanica, fino a ottenere frammenti di dimensioni molto piccole.

Questo tessuto adiposo microframmentato viene genericamente chiamato frazione stromale vascolare (SVF) e contiene numerosi elementi cellulari: cellule staminali mesenchimali, cellule del sangue, periciti, fibroblasti e cellule endoteliali. Il grande vantaggio dell’utilizzo clinico della SVF è che non necessita di alcun arricchimento, quindi il trattamento può essere attuato nella stessa seduta operatoria in cui si esegue il prelievo del grasso. Vantaggio questo non piccolo, perché evita sia la complicata trafila del trasferimento del materiale biologico verso e dal laboratorio, sia i tempi di attesa necessari per l’espansione delle MSC, che sono quelli che impediscono un trattamento precoce nelle patologie acute. L’altro grande filone di interesse in medicina rigenerativa è dato dall’impiego dei concentrati piastrinici, di cui il più conosciuto è il PRP, cioè il plasma ricco di piastrine, ed è legato alle naturali caratteristiche delle piastrine e alla capacità riparativa dei fattori di crescita contenuti e liberati da questi elementi corpuscolati del sangue.

A differenza delle terapie cellulari, l’utilizzo del PRP nelle sue varie composizioni rappresenta un tipo di trattamento con maggiore semplicità di attuazione ed è alla portata di tutte le strutture veterinarie, grazie anche alla presenza in commercio di diversi kit e di metodiche che ne consentono una preparazione ambulatoriale. Nella definizione di PRP è compresa una gamma variabile di concentrati piastrinici che differiscono tra loro in base alla qualità della concentrazione piastrinica e alla presenza o meno di eritrociti e leucociti, ciascuno dei quali con indicazioni e controindicazioni specifiche, che devono essere considerate in funzione dell’applicazione clinica desiderata. 

 

Le terapie rigenerative per il trattamento dell’osteoartrosi 

L’osteoartrosi è una patologia degenerativa cronica infiammatoria che interessa un numero elevatissimo di cani, in diversi casi anche entro il primo anno di età, causando dolore cronico, zoppia e impotenza funzionale cui conseguono, negli stadi più avanzati, perdita della funzione motoria dell’arto e riduzione della mobilità generale, con un’inevitabile riduzione della qualità della vita. Secondo i canoni della medicina “classica”, il trattamento dell’osteoartrosi richiede la somministrazione di antidolorifici e antinfiammatori (che non agiscono sulla progressione della patologia ma si limitano a controllarne gli effetti), la riformulazione di una dieta appropriata e il ricorso alla fisioterapia, il tutto a scopo conservativo.

Nonostante i protocolli terapeutici a disposizione, l’osteoartrosi è ancora una delle principali patologie per le quali, alla fine, si rende necessaria l’eutanasia. Negli ultimi anni, vista la prevalenza di questa patologia e i suoi effetti sul paziente, la ricerca si è indirizzata verso lo studio di principi attivi in grado di arrestare, o per lo meno limitare, il danno tissutale o addirittura di favorirne la rigenerazione cercando di intervenire quanto più possibile a livello locale, onde evitare gli effetti sistemici legati alla somministrazione parenterale di farmaci.

Per ottenere tale risultato, come sottolineato dalla prof.ssa Angela Palumbo Piccionello (Università di Camerino), sono state introdotte la viscosupplementazione e la somministrazione di sostanze intrarticolari quali, ad esempio, l’acido ialuronico, il PRP o le cellule staminali (MSC). Queste ultime, particolarmente interessanti, determinano effetti immunosoppressori, antinfiammatori e antifibrotici e il loro utilizzo ha lo scopo di tentare una rigenerazione dei tessuti, in questo caso osso e cartilagine, poiché hanno la capacità di differenziarsi in vari citotipi, tra cui gli osteoblasti e i condrociti.

L’inoculo intra-articolare di MSC, come riportato anche in letteratura, è in grado di migliorare la riparazione dei tessuti mediante il rilascio di alcuni fattori come l’FGF (Fibroblast growth factor) e gli inibitori tissutali delle metalloproteasi (TIMP-1), ed esercitando, inoltre, una benefica azione antinfiammatoria e immunomodulatrice. Secondo l’esperienza della relatrice, che da diversi mesi sta impiegando le cellule staminali per il trattamento di alcune patologie osteoarticolari illustrate durante il suo intervento, i risultati sono molto incoraggianti e stanno aprendo man mano la via ad una nuova frontiera della terapia ortopedica. 

 

Rigenerare i tessuti dopo exeresi chirurgica oncologica 

Il collega Fabio Valentini (coordinatore del Gruppo di studio di Oncologia di Aivpa e direttore di Oncovet) ha illustrato la sua esperienza nell’utilizzo del Ligasano® bianco, un materiale sintetico in poliuretano espanso con struttura a nido d’ape, molto utilizzato in Medicina umana per favorire la guarigione di diverse lesioni cutanee più o meno profonde: questo materiale permette l’assorbimento delle secrezioni, prevenendo in questo modo la macerazione della ferita e riducendo il rischio di proliferazione batterica. L’effetto terapeutico del Ligasano® bianco stimola il ripristino della vascolarizzazione, dilava e assorbe lo strato fibrinoso e cattura e asporta la flora batterica, determinando così una pulizia della ferita senza necessità di ulteriori interventi locali.

Sulla base di queste premesse, il collega ha deciso di sfruttare le proprietà di questo presidio in pazienti canini, quale ausilio nella guarigione per seconda intenzione di ferite conseguenti a exeresi di tumori cutanei perivascolari localizzati sull’estremità distale degli arti. Nel corso della relazione sono stati presentati due dei casi clinici più significativi, ovvero pazienti affetti da sarcoma dei tessuti molli di basso grado. Le lesioni, descritte con l’aiuto di numerose immagini catturate durante le procedure, erano localizzate nel primo caso sul carpo di un meticcio di 13 anni, una lesione mobile e poco adesa ai tessuti sottostanti; nel secondo caso si trattava di un Boxer di 8 anni, con una lesione sulla faccia dorsale del tarso; in questo soggetto la neoplasia era invece ulcerata, voluminosa e adesa ai tessuti sottostanti.

Entrambi i soggetti erano stati sottoposti a intervento chirurgico volto a rimuovere la massa cercando di evitare l’amputazione. I tumori cutanei perivascolari sono caratterizzati da un basso potenziale metastatico ma da un’elevata frequenza di recidiva locale, pertanto la rimozione chirurgica può essere risolutiva ma necessita di “margini puliti”; inoltre, a causa della frequente localizzazione sulle estremità distali degli arti, la chiusura chirurgica diretta risulta spesso molto difficoltosa. Dopo un’attenta valutazione del temperamento degli animali e delle diverse possibilità di gestione post-operatoria, è stato deciso di non utilizzare un innesto cutaneo libero, e nemmeno le terapie locali “tradizionali”, bensì si è optato per una guarigione secondaria della ferita sfruttando le proprietà fisiche del Ligasano® bianco.

La fasciatura è stata sostituita ogni 3-4 giorni e l’utilizzo del prodotto ha favorito la rapida formazione di tessuto di granulazione fino alla completa guarigione, facilitando il compito dei proprietari che hanno potuto gestire a casa le medicazioni. 


La VAC e il laser a diodi nella rigenerazione tissutale dei cheloni 

Quello della traumatologia nei cheloni è un argomento molto importante e all’ordine del giorno per i colleghi che si occupano di medicina degli animali non convenzionali. Il collega Giuseppe Visigalli (direttore sanitario della Clinica veterinaria “Liana Blu” di Varedo, Mb) ha portato la sua esperienze nell’utilizzo della VAC (vacuum-assisted closure) e del laser a diodi come strumenti utili per la rigenerazione dei tessuti nelle tartarughe acquatiche e nelle testuggini, presentando diversi casi clinici (schiacciamento, morso di cane e di roditori, traumi da accoppiamento, cadute dall’alto, lesioni alla corazza di vario grado e gravità, trauma da elica, ecc.) risolti con successo sia in animali selvatici che di proprietà.

I cheloni interessati da traumi alla corazza vengono condotti a visita, di solito, in condizioni di letargia, grave anemia, immunodepressione, disidratazione, a volte con emorragie in corso e in alcuni casi già in setticemia, pertanto, prima di pianificare un qualunque intervento di riparazione dei tessuti è sempre necessaria un’attenta valutazione delle condizioni del paziente e la sua stabilizzazione.

Emorragie in atto vanno affrontate immediatamente, in quanto anche lesioni apparentemente superficiali possono sanguinare copiosamente, in tal caso è necessario operare un’accurata emostasi, somministrare fluidi e contemporaneamente valutare lo stato degli organi celomatici eventualmente fuoriusciti, in modo da comprendere il tipo di soccorso da effettuare. La VAC Therapy è molto utilizzata nelle tartarughe marine poiché mette sotto vuoto la lesione riducendo la proliferazione batterica o la ricontaminazione della ferita; il principio si basa sull’applicazione sulla ferita di un bendaggio adesivo occlusivo con l’interposizione di una spugna, al quale viene applicata una pressione negativa.

Questo meccanismo promuove il riavvicinamento dei margini della soluzione di continuo, favorisce la rimozione dei detriti e dell’essudato e promuove un’azione antisettica grazie all’anaerobiosi indotta dal vuoto stesso, migliorando inoltre la perfusione tissutale, e riducendo l’edema infiammatorio. La VAC agevola, inoltre, la migrazione di fibroblasti, citochine, cellule infiammatorie e fattori di crescita. Per quel che riguarda le lesioni del carapace con interessamento profondo, questo strumento è anche in grado di riportare in sede il tessuto polmonare.

Infine, la laser therapy viene utilizzata ormai da diverso tempo e di routine nella clinica degli animali non convenzionali in quanto permette un’ottima ed efficace rivascolarizzazione dei tessuti, velocizzandone il trofismo e il processo di rigenerazione e guarigione.

Autori: Cristiano Papeschi, Linda Sartini

tratto da "La Settimana Veterinaria" N° 1073 | 21 novembre 2018

 


Pubblicato da: segreteria AIVPA

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